Alla maestra manca il mare, le lunghe passeggiate sulla spiaggia dello scorso autunno.
Cammina un po’ piegata su se stessa, affaticata da questi e altri pensieri, dirigendosi su un manto foglioso, umidiccio di un parco di città.
Come spesso le accade, più i suoi occhi guardano cose di natura, più i pensieri estranei al contesto si dileguano e altri si susseguono. Eh sì, perché la maestra è una di quelle persone con la sindrome da Palomar, non è molto capace di tacitare il suo cogito.
Così facendo incontra un fungo, non è esperta di funghi ma le piacciono, soprattutto quando li incontra in città perché a lei fanno l’effetto dell’incontro sorprendente e anche un po’, dal suo punto di vista magico, come se un solo fungo potesse creare una foresta incantata.
Il fungo ai suoi piedi ha una postura palesemente perfetta, il suo gambo è una verticale a piombo e la cappella si poggia in assetto di conseguenza perpendicolare al terreno.
Nella sua fatiscenza il fungo è un capolavoro di equilibrio, e a quel punto la maestra rivolge una domanda, un pensiero alla Natura: “Perché lo hai fatto crescere così perfetto se durerà il tempo di una pioggia? A che serve il suo stare su un gambo teso e svettante con pure un peso sopra se finirà in frantumi in pochi giorni?”
Non si aspettava la maestra che le arrivasse una risposta o quantomeno a lei è sembrato di udire che giudicare le cose di Natura con le categorie dell’umana escatologia possa provocare frustrazione e tenere lontano dalla comprensione universale.
CDA