Quando ero bambino, c’era un grande bufalo d’acqua che viveva nel terreno sfitto alla fine della nostra via, quello con l’erba che non veniva mai falciata. Dormiva e ignorava quasi sempre quelli che passavano di là, a meno che non ci capitasse di fermarci per chiedergli consiglio. Allora si avvicinava lento, alzava lo zoccolo sinistro e ci indirizzava senza dubbi verso la direzione giusta. Non disse mai però cosa indicava, quanto avremmo dovuto andare avanti o cosa avremmo dovuto fare una volta arrivati. Infatti non diceva mai nulla perché i bufali d’acqua sono così: odiano parlare.
La maggior parte di noi trovava la situazione molto frustrante. Di solito, quando pensavamo di “consultare il bufalo” il problema era urgente e richiedeva una soluzione diretta e immediata. Alla fine smettemmo di andare a trovarlo, e credo che se ne andò poco tempo dopo: quello che riuscivamo a vedere era solo l’erba alta. È proprio un peccato perché quando avevamo seguito il suo zoccolo aguzzo eravamo sempre rimasti sorpresi, sollevati e deliziati da quello che avevamo trovato. E ogni volta avevamo detto la stessa cosa: «Come faceva a saperlo?».
Shaun Tan, Piccole storie di periferia, Tunuè